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Après plus de deux décennies d'expérimentation, le moment est venu pour l'Organisation pour l'Harmonisation en Afrique du droit des Affaires ou OHADA de marquer une pause et de récapituler l'application de ses valeurs normatives aux différents domaines relevant du champ matériel d'application du Traité ayant fondé l'organisation. L'intérêt et l'utilité d'un tel bilan passent, entre autres, par la relecture de sa norme juridique sur l'arbitrage ad hoc qu'est l'Acte Uniforme OHADA relatif à l'Arbitrage (AUA). Ce bilan doit pouvoir se faire non pas au regard de ce qui a été dit et analysé. Il s'impose plutôt d'examiner la perspective de ce qui lui reste d'exceptionnel et d'inédit. Sur ces aspects inédits, il manque une analyse comparée au plan du droit international, maillon manquant des différentes approches abordées. C'est à cet exercice intellectuel que s'est livrée notre étude, procédant à la relecture à l'aune des standards transnationaux de la justice arbitrale par le prisme d'autres normes sur l'arbitrage international, qu'elles soient d'origine étatique ou conventionnelle, de la pratique internationale et dans une certaine mesure de la jurisprudence.
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L’esigenza di alleggerire il carico dei tribunali mediante forme di soluzione diverse e alternative al processo giurisdizionale trae le sue origini da esperienze culturali remote: l’arte della composizione del conflitto rappresenta un'attività di cui l’uomo si è fin da subito dovuto occupare, per lo meno dal momento in cui ha cominciato a vivere all’interno di una comunità, proprio perché si tratta di un’attività che sfiora tutti gli aspetti della vita sociale. La mediazione ha origini antichissime, infatti la necessità di sviluppare nei secoli procedure alle quali ricorrere per garantire un'ordinata convivenza e armonia sociale risale già all'antica Roma del V secolo A.C.: la prima delle XII Tavole (il più antico diritto scritto dell’antichità romana), richiama il tentativo di compromesso da esperirsi davanti al pretore con cui le parti in lite trovano un accordo sull’oggetto del contendere, nel qual caso il giudice è tenuto a consacrarlo con l’emanazione della sentenza mentre in caso di mancato raggiungimento di un accordo allora si sarebbero adite le vie giudiziali instaurando il processo. Le origini della mediazione trovano fondamento in tempi antichi anche in Paesi dell’estremo oriente ed in particolare in Cina dove la mediazione fu lo strumento principale nella risoluzione delle dispute: Confucio sosteneva che il modo migliore per dirimere una disputa fosse la persuasione morale e il raggiungimento di un accordo, piuttosto che la coercizione del Sovrano. L’idea stessa di “compromesso” è profondamente radicata nella cultura cinese, infatti non tener in alcun conto gli interessi dell’altra parte è considerato particolarmente deplorevole sul piano etico-giuridico ed il pensiero confuciano è promotore della mediazione, tanto che l’istituto continua tuttora ad essere praticato nella Repubblica Popolare Cinese. In tempi più recenti, dopo l’unificazione del Regno d’Italia e la conseguente stesura del codice di procedura civile del 1865, il legislatore ha dedicato ampio spazio alla composizione bonaria delle controversie, disciplinando la conciliazione nel titolo preliminare all'art.1, dando vita così alla figura professionale del giudice conciliatore: caratteristiche essenziali del procedimento consistevano nella compresenza della funzione conciliativa con quella giurisdizionale nel giudice conciliatore, la municipalità del giudice stesso e infine la completa assenza di formalità (il rito si svolgeva verbalmente) per consentire a tutti un facile accesso alla procedura. Se invece apriamo il Codice di procedura vigente, per trovare un accenno alla conciliazione bisogna aspettare l'art. 320, e questa sfiducia a cui è andata in contro la figura del giudice conciliatore è arrivata fino ai nostri giorni. Negli USA la mediazione fu introdotta come sistema volontario (nelle controversie sindacali tra le compagnie ferroviarie e i loro dipendenti) nel 1887, con la legge sul commercio tra gli Stati (Intestate Commerce Act), e a partire dalla fine degli anni ’60 trovò un applicazione sempre maggiore. Ma la svolta fondamentale si ebbe nel 1998, in occasione della modifica del Titolo 28° della Carta dei Diritti e nell'Alternative Dispute Resolution Act, che consacrarono il successo della cultura alternativa della gestione del conflitto nella società americana. Oggi il ricorso agli A.D.R. ha portato ad una riduzione del contenzioso giudiziario di quasi il 90%. Visto l’esito positivo avutosi oltreoceano, nell’aprile del 2002 la Commissione Europea ha presentato un Libro Verde relativo ai modi alternativi di risoluzione delle controversie in materia civile e commerciale per promuovere l’utilizzo della mediazione, ed in seguito alla Direttiva n. 2008/52/CE il governo italiano ha emanato il D.lgs. 28/2010 al fine di coordinare le disposizioni vigenti in materia di mediazione e conciliazione in ambito civile e commerciale, solo che appena due anni dopo, il 6 dicembre 2012, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità del decreto per eccesso di delega legislativa, così che il governo Letta ha cercato di disciplinare nuovamente l'istituto con la Legge n.98/2013, sebbene stavolta la mediazione sia stata prevista come temporanea perché contemplata come obbligatoria per i soli quattro anni successivi alla sua entrata in vigore, a metà dei quali il ministero di giustizia avvierà un monitoraggio per valutare se la sperimentazione della procedura di mediazione ha funzionato. Speriamo che intanto la “cultura della mediazione” cominci a diffondersi anche in Italia.
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Il a été longuement discuté de savoir si le système d'arbitrage est applicable pour régler les litiges administratifs qui concernent certains contrats administratifs ou d’autres sans rapport avec le contrat administratif. Dans cette thèse, les trois questions spécifiques sont analysées tour à tour : (1) Est-il possible pour un arbitre ou un tribunal arbitral de trancher des questions relevant du droit administratif? (2) Y a-t-il, ou devrait-il y avoir, des limitations à l'autorité des arbitres et des tribunaux arbitraux? (3) Enfin, après la délivrance d'une sentence arbitrale, quel rôle devrait jouer l'État dans la phase de contrôle judiciaire? La première question concerne l'arbitrabilité et a été discutée dans la première partie (FIRST PART: ARBITRABILITY). La deuxième question a été discutée dans la deuxième partie (SECOND PART: PARTICULAR QUESTIONS OF ADMINISTRATIVE MATTERS IN ARBITRATION PROCEDURE). Enfin, sur la dernière question a fait l’objet d’une troisième partie (THIRD PART: JUDICIAL REVIEW AND EXECUTION OF ARBITRATION AWARD). Dans cette thèse, nous avons comparé les systèmes de quatre pays (Canada, Chine, France, Taïwan). En conclusion, nous pouvons donc conclure que l’évolution de la conception du contrat administratif implique de nombreux aspects, y compris les aspects juridiques, économiques, politiques et même culturels. Le développement de la fonction de contentieux administratif, comme ‘’subjectivement orienté" ou "objectivement orienté" aura une incidence sur l'acceptation de l'arbitrage en matière administrative. Dans l'ensemble, l'arbitrage sera plus acceptable dans les systèmes dont la fonction est plus ‘’subjectivement orientée" que dans ceux dont la fonction est "objectivement orientée".
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O presente estudo tem como objetivo superar as diversas noções genéricas a respeito da imparcialidade do árbitro e assim atribuir-lhe um conceito próprio, estabelecido a partir do reconhecimento da vital importância do exercício da influência das partes na relação jurídica processual. O estudo parte da premissa de que todas as experiências pretéritas do árbitro (como as de qualquer indivíduo) constituem condição necessária para que este forme pré-conceitos e assim conheça e decida um conflito e que, por isso, tais experiências e conceitos pretéritos sempre existem e sempre influenciam o julgador. Também é premissa de análise o ambiente institucional em que a arbitragem se desenvolve e no qual os profissionais buscam auferir capital simbólico que lhes possibilite êxito nas nomeações para a função de árbitro. Essas premissas impedem que se aprove a noção genérica da imparcialidade como equidistância, ausência de interesse próprio na solução do litígio ou ausência de outras influências no convencimento do árbitro além dos argumentos lançados pelas partes no litígio, e impõem o reconhecimento de um conteúdo apoiado na inexistência de barreira à influência que os argumentos das partes exercerão na decisão do árbitro (a despeito, portanto, de quaisquer outras influências às quais o julgador como todo indivíduo está sujeito). A identificação de um conteúdo para a imparcialidade é, todavia, insuficiente para a solução de problemas práticos, razão pela qual o presente estudo sugere sua operacionalização por norma concreta extraída de regras vinculantes que imponham um comportamento (art. 14, caput, da Lei de Arbitragem brasileira) ou um estado de coisas (art. 13, § 6º da Lei de Arbitragem brasileira) que atenda a certas premissas de estrutura e de conteúdo. As premissas de estrutura têm como finalidade garantir a coerência e coesão sistemáticas da norma concreta, ao passo que as premissas de conteúdo (extraídas de casos reais) buscam a coerência interna da norma, ou seja, a coerência entre o juízo hipotético-normativo e o juízo sobre o evento fático subjacente. Essas premissas são examinadas à luz do ambiente institucional no qual a arbitragem se desenvolve, caracterizado principalmente pela interdependência e contínuo contato entre profissionais, a constante troca de papéis a que tais profissionais se sujeitam (ora como árbitros, ora como advogados) e a assimetria de informação. Propostos um conteúdo e um método de operacionalizá-lo para a solução de casos concretos, o presente estudo procura desatrelar a imparcialidade e seus efeitos da noção geral de independência do árbitro, sem apelar para a imprecisa dicotomia subjetividade-objetividade. Reconhece, ainda, que do árbitro são demandadas posturas diferentes daquelas preconizadas aos juízes, razão pela qual a aplicação de regras equiparativas (tal como o art. 14, caput, da Lei de Arbitragem brasileira), além de não esgotar todas as hipóteses de ataque à imparcialidade, deve ser precedida de diversas adaptações. Reconhece, também, o sentido e o alcance do binômio ciência-aceitação na prática arbitral. Por fim, o estudo trata da diversa natureza entre o dever de revelação e a imparcialidade impostos ao árbitro, de cujas violações derivam consequências também distintas.
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Indiscutablement la sphère du droit public des affaires se déploie aujourd'hui dans un espace mondialisé, où les rapports entre les opérateurs se nouent en des termes qui différent radicalement de ceux qui posèrent les premiers linéaments de la matière au début du XXe siècle. Cela est en réalité lié aux tendances de fond qui touchent le monde contemporain. C'est donc dans un contexte profondément modifié par la globalisation, que les relations d'échanges internationaux et les litiges auxquels elles peuvent donner lieu s'envisagent désormais. On assiste ainsi, depuis déjà plusieurs décennies, à l’émergence d’un véritable droit public international des affaires. A cet endroit, le cas des marchés publics et des partenariats public-privé internationaux est particulièrement révélateur des mutations profondes qui taraudent la matière au niveau international. En effet, l'internationalisation des échanges économiques s'inscrit dans une réalité qui modifie en profondeur l'organisation des acteurs économiques et opère une vaste mutation des modalités d'intervention de la puissance publique; elle se fait maintenant dans un champ économique à l'échelle supra-nationale.
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Dans beaucoup de législations nationales sur l’arbitrage, le principe de la non-arbitrabilité des litiges impliquant les personnes morales de droit public, en particulier l’Etat et les collectivités territoriales, est clairement posé, et ce depuis longtemps. Cette position s’explique aisément dans le système juridique français comme dans ceux qui s’en inspirent. La distinction entre la justice des particuliers et celle de l’administration, c’est à-dire de l’Etat, y est fermement établie.
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L’expression « modes alternatifs de règlement des conflits » en vogue depuis quelques années et reprise dans l’intitulé de ce colloque est trompeuse. Elle procède d’une vision ethno-centrée moderne et plus spécifiquement occidentale et continentale du règlement des conflits. En effet, le qualificatif « alternatif » est employé par référence au mode de règlement des conflits actuellement privilégié par les sociétés modernes, notamment de la famille romano-germanique: la justice étatique. Or, historiquement, les sociétés traditionnelles les plus anciennes ne connaissaient pas de justice publique mais seulement des modes traditionnels et privés de résolution des litiges pacifiques comme la médiation, la conciliation et l’arbitrage, c’est-à-dire ceux que nous désignons « modes alternatifs de règlement des conflits », ou non pacifiques comme la vengeance privée.
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Mediation has been a part of New Zealand’s employment statutory framework in one form or another for over a century, and has been the first port of call for employment disputes under the current Employment Relations Act for nearly 15 years.¹ I have been working as a mediator in this context for almost seven years in more than 1,000 mediations. Lawyers are playing a significant part in the field of mediation, with a large number representing clients in this forum on a regular basis. In an evaluation of 100 of my mediations over a ten-month period, 85% of parties were legally represented. This rate is consistent with anecdotal reporting across the employment mediation service. Lawyer representation in mediation is not unique to the employment context. There are various mediation schemes provided for under many New Zealand statutes as well as a wide raft of non-statutory mediation occurring in numerous settings. In my experience as a mediator with human rights and leaky building mediations, as well as working as a lawyer in a large commercial law firm, I am aware lawyers are representing clients in many other areas of mediation as well. Although there is a significant amount of mediation occurring and a large number of lawyers regularly appearing in mediation, my experience is that the majority of lawyers act in mediation as if they were in litigation and take an adversarial approach. My thesis is that lawyers have not adapted effectively to mediation and taken on the role of mediation advocacy. This paper explores the topic by first describing, in Part II, what I observe as lawyers’ adversarial approach in mediation. It then looks at other research to assess whether this experience is reflective of a wider issue. It finds there is evidence to support my observations. Part III analyses why lawyers are operating in an adversarial way in mediation and proposes several reasons this may be the case. Part IV puts forward what I propose is appropriate mediation advocacy. It sets out the knowledge, roles and skills required from lawyers when representing clients in mediation. Part V suggests what might be done to assist a shift away from the common, adversarial approach to effective mediation advocacy. This paper is written within the context of employment mediation in New Zealand. However, it draws on research from different jurisdictions and areas of practice so the conclusions it comes to may have more general application. The topic is not whether lawyers should be in mediation. I am not arguing that lawyers do not have a part to play in mediation. A lawyer well versed in mediation advocacy can play a highly effective part in the process. Leonard Riskin, one of the key authors on the topic of lawyers in mediation, expresses this even more strongly, saying he believes lawyers’ involvement is fundamental to mediation’s success.² Further, this paper is focused on lawyers representing parties in mediation and does not consider lawyers as mediators.
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L’Organisation pour l’Harmonisation en Afrique du Droit des Affaires (OHADA) a été créée par le Traité de Port-Louis (Ile Maurice) le 17 octobre 1993, modifié à Québec (Canada) le 17 Octobre 2008. L’OHADA a pour but de promouvoir les investissements dans ses 17 États parties à travers la sécurisation juridique et judiciaire de l’environnement des affaires, par la production de normes juridiques, simples, adaptées et modernes en droit des affaires, au nombre desquelles les instruments relatifs à l’arbitrage. Premier ouvrage de la collection droits OHADA et droits communautaires africains, l’Arbitrage OHADA procède à une présentation synthétique et à une analyse exhaustive des instruments OHADA relatifs à l’arbitrage, que sont l’Acte uniforme relatif au droit de l’arbitrage et le Règlement d’arbitrage de la Cour commune de justice et d’arbitrage de l’OHADA (Règlement CCJA). Outre les textes normatifs posant les bases de l’arbitrage OHADA, cet ouvrage met aussi à la disposition du lecteur la jurisprudence de la CCJA et commente les premières applications pratiques de l’arbitrage OHADA. Il est en cela indispensable à tous les praticiens de l’arbitrage OHADA. Mais au-delà, par la réflexion qu’il développe sur les difficultés rencontrées et les espérances suscitées par la mise en œuvre de l’arbitrage OHADA et – en définitive – sur l’apport de l’arbitrage dans le développement du droit OHADA et l’amélioration du climat des affaires en Afrique, cet ouvrage intéresse un public bien plus vaste (Universitaires, Barreau, Magistrature, Opérateurs économiques) et est appelé à constituer la référence en matière d’arbitrage pour l’ensemble des usagers du droit OHADA.
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L’auteur se penche sur la relation qui existe entre l’arbitre et le droit, en focalisant sur les questions de procédure et de droit applicable au fond du litige en arbitrage international. L’auteur montre que les arbitres ne se réfèrent plus automatiquement au droit international privé de l’Etat du siège afin de déterminer le droit applicable à la procédure ou au fond du litige, ni même au droit international privé d’un Etat en particulier. Au contraire, l’auteur avance que la tendance est à l’internationalisation des règles de droit international privé : l’arbitre puise directement les règles de rattachement d’un ordre juridique transnational autonome, qui dispose de ses propres règles de droit international privé, tant pour le fond du litige que pour la procédure arbitrale. The author addresses the relationship between the arbitrator and the law, with an emphasis on the law and procedure that is applicable to international arbitration. It is demonstrated that arbitrators no longer automatically refer to the private international law of the state that is the seat of arbitration to determine the applicable law, nor to private international law rules of a particular country. On the contrary, there is a trend towards internationalizing the rules of private international law: the arbitrator obtains the governing law directly from an autonomous transnational legal system that has its own substantive and procedural rules in private international law.
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Trabajo de Curso de Experto Universitario en Mediación Civil, Familiar, Mercantil y Organizaciones Complejas (2013). Tutora: María Sonia González Ortega. El objetivo del presente trabajo es abordar la Mediación en el seno de las organizaciones, teniendo en cuenta que estas constituyen sistemas de interrelación entre personas, donde confluyen numerosos intereses. Se trata por tanto, de abordar la resolución de los problemas no solo existentes sino de los emergentes, aportando herramientas eficaces en el desarrollo de la actividad empresarial, que permitan gestionar y modular los conflictos, de forma que los mismos, se transformen en oportunidades de mejora y de crecimiento empresarial.
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